lunedì 20 luglio 2009

Aaargh!

È solo vita, è solo amore?
È solitario questo cuore.
Per fortuna questo mondo
sembrerà solo un secondo.

Quattro versi composti già in rima dal mio inconscio nel sonno. Dopo di che mi sono svegliato al suono di poche incerte note di un flauto da battaglia come quelli che usavamo alle medie e ho iniziato a pensare con meraviglia a questi versi, decidendo di farne qualcosa; magari scriverli su un diario. Come spesso accade i suoni che vengono da poco fuori casa sembrano quasi venire da dentro, quindi mi sono alzato, ancora rimuginando quei versi, e sono uscito dalla stanza del letto per verificare che così fosse. Inaspettatamente ho sentito il rumore dello scorrer d'acqua dal lavandino della cucina; devo essermi dimenticato lì una bottiglia di birra: ho preso da mia madre l'abitudine di lasciar pulire sotto un filo d'acqua corrente le bottiglie e poi farle asciugare, prima di destinarle al riciclo. Facendo più attenzione, però, un altro suono vi si mescolava da presso il frigorifero, un agghiacciante rantolo post-umano di sofferenza e morte incombente.

Mi sono svegliato di nuovo, questa volta a questo suono di disperazione, ricordando i versi ed esitando pure un poco ad uscire dalla camera. Poi ho deciso di farne qualcosa, magari scriverli sul blog. Se tu, avido lettore, li stai assaporando, allora sei allo stesso livello di sogno nel quale sono io ora.

La stranezza di quei versi è che non solo me li ricordo, ma hanno anche metrica coerente e un significato accettabile; capita di sognare una barzelletta così irresistibile che quando essa svanisce con il sonno ci si rammarica di non poterla condividere, ma le rare volte in cui invece rimane nella memoria essa rifulge della sua deludente inconcludenza. La forma non è la migliore e la prima rima è agghiacciante quasi quanto il rantolo del sogno. Dibattito aperto sul «per fortuna», mentre è quasi certo che il «secondo» è misura di tempo («minuto secondo»).

Ciò che la critica riconosce unanimemente è che mi sono svegliato anzitempo e quel rantolo non mi avrebbe fatto riaddormentare.

venerdì 3 luglio 2009

Siamo quello che ci danno a bere

La marca “Tropicana”, che in Italia è nota prevalentemente per una vecchia canzone, è invece una delle più vendute negli Stati Uniti e probabilmente oltre (è ora posseduta da PepsiCo Incorporated). Durante una pausa caffè nel mezzo di una conferenza, ho carpito una boccetta (da 10 once liquide) di succo di quello che in Italia sarebbe pompelmo rosa, in U.S. è chiamato pompelmo rosso — la verità è più o meno a metà, mentre la realtà si attesta decisamente sul carminio. Al centro dell'etichetta campeggia un “100% succo”.

Pompelmo rosso rubino.

Ah, finalmente qualcosa di sano. C'è anche il marchio «Scelte furbe rese semplici». Questo mi avrebbe dovuto mettere in allerta. O forse anche il fatto che assieme a “100% succo” c'era una scritta “100% vitamina C” che, al di là dell'improbabilità della cosa, avrebbe portato per lo meno ad un “200% di prodotto”. E subito sotto, in uno stile di carattere che suggerisce di essere ignorato, “Miscela aromatizzata di succhi da concentrato con altri aromi naturali ed ingredienti”. Così mi decido a leggere gli ingredienti, che per bontà loro hanno scritto — cosa che per esempio nella confezione da mezzo gallone di presunto succo di frutta omettono di fare. La verità più credibile che mi vendono finisce per essere: acqua filtrata, concentrato di succo di uva bianca, concentrato di succo di pompelmo rosa (che per lo meno è riuscito a salire sul podio), concentrato di succo di mela, pectina, acido ascorbico (suppongo al 100% di se stesso), carminio (il colorante), acido citrico (uhm... concentrato di succo di limone?) e aroma naturale. Tutto chiaro, tranne il “100% succo”.

Altro utilissimo ricordo raccolto più o meno nella stessa occasione è stata una bottiglietta d'acqua di marca «Ice Mountain». Tra l'altro, qui alla gente non piace essere raggirata e i produttori lo sanno che non siamo stupidi e vogliamo essere informati, così alcune acque in bottiglia sono etichettate con i «Nutritional Facts», le tabelle di quando nutriente c'è per tipo. Quindi, calorie: 0; calorie da grassi: 0; totale dei grassi: 0 g (percentuale del fabbisogno giornaliero: 0%), grassi saturi: 0 g, e via così, passando attraverso colesterolo, sodio (almeno qui campeggia una qualche cifra significativa), proteine, zuccheri, vitamine, calcio, ferro. Credevo fosse inutile, alla luce dell'esperienza del “100% succo” mi ricredo.

Be', niente di male. Sull'etichetta campeggia anche un evidente riquadro dal rosso titolo «Salta gli zuccheri» in cui si legge letteralmente: «una tipica bevanda zuccherata da 12 once contiene l'equivalente di 10 cucchiaini di zucchero. L'acqua non ha zucchero. Sostituire una bevanda zuccherata al giorno con acqua può risparmiare alla tua dieta 3.650 cucchiaini di zucchero all'anno. Sii sano.».

Grazie, «Ice Mountain». Prodotta da Ice Mountain Spring Water Company. Divisione di Nestlé Waters North America. Per inciso, detta Nestlé ha titolo della metà della compagnia Beverage Partners Worldwide, in società con l'altra dolce metà, la sconosciuta The Coca Cola Company. Insieme commercializzano principalmente i prodotti col marchio Nestea e Beltè. Anche senza zucchero.

mercoledì 6 maggio 2009

Denver, CO

Quando la si scorge da un'aereo, viene in mente la “realtà virtuale” degli ambiziosi simulatori di volo degli anni `90: un piano sterminato di superfici e colori ripetuti all'infinito, qualche solido che lo staglia candido e un orizzonte seghettato di montagne. Lascia quasi sorpresi non vedere i quadrettoni pezzare il terreno più prossimo.

Passeggiata per un paio d'ore, la città non può mostrare tanto di sé. Se si fa caso alle capitali degli Stati Uniti, probabilmente si rimane sorpresi: le città che conosciamo di più grazie ai film sono le più popolose, ma il più delle volte non assurgono al luogo di capitale: Chicago non è capitale dell'Illinois, Portland non è capitale né del Maine né dell'Oregon, pur essendo «Portland» il nome delle due città più grandi dei detti Stati, New York City non è capitale dello Stato di New York e Kansas City non è né in Kansas, né in Arkansas. Il Colorado è più onesto, e Denver ne è la capitale — e la città più popolosa. Prevedibilmente, quindi, abbastanza in centro vi si trova una collinetta con in cima un edificio (neo)classico che riporta alla mente l'integerrimità dei Romani e l'inviolabilità della legge.

La collina capitolina. I manifestanti espongono uno striscione «Free our weed»...

Sulle scalinate, un gruppo di manifestanti che reclamano libertà e che forse danno per scontata quella che già hanno che permetterà loro di dormire nel loro letto anche quella notte e le successive. Colonne, cupola, grattacieli... noia? Eppure i grattacieli hanno ognuno il loro stile (come a Chicago, ma ce ne sono molti meno) e dalle parti della zona musei l'architettura si fa veramente ardita.

Il Museo dell'Arte in alcuni dei suoi diversi edifici

Purtroppo la mendace macchina fotografica, che a casa mi aveva sperguirato di essere carica come una molla, si rivela carica di livore e falsità e inizia subito a frignare di volersi spegnere. Addio quindi alla foto del mandriano che tenta di domare, montandolo, uno stallone, statua che soffre e si ribella all'immobilità, opposta in un giardino a quella di un nativo.

E, per la cronaca, la United Airlines è riuscita a perdermi una valigia dopo che io stesso l'avevo portata sull'aereo. Professionismo e dedizione.

Voglio segnalare un artista di strada il cui contributo si trova nei pressi del museo: purtroppo ho un po' sbagliato la foto e non si nota che la glassa del muffin è completamente intonata all'oggetto infisso in esso. Capolavoro.

Energia viola

mercoledì 29 aprile 2009

Mozzarelline fritte

Il segreto di una buona frittura, di quelle che non ti accompagnano per tutta la notte, non è nell'olio, quello di semi di boh, né nel non farlo scaldare troppo (certo, però, che avrebbe aiutato a... ehm, “dorarle” di meno — o a dorarle di più e annerirle di meno). Non è neppure nella panatura: il pane «francese» comprato probabilmente un mese fa (quando ancora «bastone» era solo una metafora) va bene. E non è neppure nel pizzico di sale da aggiungere all'uovo - se no sarei tagliato fuori dal gioco.

Il segreto di una buona frittura è di avere chiuso la porta della camera da letto.

domenica 5 aprile 2009

The freddo

Stasera, giusto fuori casa

Buon Natalea Pasqua!!!

martedì 3 marzo 2009

Mystery tales

Era circa un anno fa quando comprai un'automobile tutta mia. Prima, ne avevo una in affitto.

Quest'ultima aveva rivelato ben presto un problema, facendo un rumore come di plastica su asfalto quando si muoveva. Ed invero dal fondo uno dei fermi di una copertura di plastica aveva ceduto e il pezzo di plastica era fissato da un lato e libero di battere a terra dall'altro.
Ad un certo punto ho scoperto che andando in retromarcia riuscivo a piegarlo contro natura e quindi con somma gioia speravo di riuscire prima o poi a farlo staccare.

Infatti ad un certo punto ho realizzato che il rumore era cessato. Volendo celebrare questo trionfo con un'ispezione, notai con sommo orrore che invece qualcuno lo aveva fissato con un fermo di plastica.

L'autore del fatto mi rimane tutt'ora sconosciuto.


Mesi fa comprai delle nocciole. Non erano malaccio, ma ad un certo punto mangiandone una ho sentito i sintomi di una reazione allegrica. Ma io non mi faccio suggestionare facilmente; tali nocciole sono rimaste lì per un altro paio di mesi, sempre platealmente in un sacchettino aperto sul lavandino. Un secondo tentativo ha dato simile reazione. Cosa avranno pensato quelle nocciole, abbandonate ed obliate e neglette? Chi sa cosa passa nella testa rotonda di una nocciola?

Un paio di settimane fa, mi infilo sotto le coperte e sento un rumore come di biglie che cadono. Riaccendo la luce per vedere un paio di nocciole a terra e, scuotendo le lenzuola, altre tre caderne. Cerco di ricordare perché mi fossi messo a posare nocciole sul letto, ma lo sconfortante responso è che proprio non ricordo di averlo fatto. Va be', tornano assieme alle altre tre o quattro nel loro sacchetto da cui tanto hanno tentato di fuggire.
Qualche giorno fa decido di liberarmene: qualunque cosa abbiano, mi indispone il fisico, quindi vale cestinarle. E con somma sorpresa trovo che ne è rimasta solo più una. «È strano», direbbe la mia amica Jessica (ma la sentirebbe solo uno dei centosettanta nipoti che si ritrova). Insospettito, dispongo del sacchetto, che a questo punto è piuttosto superfluo, e appoggio la nocciola nello stesso punto dove giaceva il sacchetto.

Ieri mattina non c'era nessuna nocciola. Né orme sulla moquette (sì, ho controllato).

Non fosse che questa storia mi rievoca Chip 'n Dale, ne sarei un po' turbato. Dopo tutto, l'ipotesi più rassicurante è che mi sono dimenticato completamente di aver messo nocciole sul letto, averle poi fatte sparire e infine aver preso anche l'ultima. Quindi, neurodegenerazione, sonnambulismo, candid camera?

Oggi ho comprato e messo al posto delle nocciole una zucca...

lunedì 12 gennaio 2009

Idyota

A Wakkanai, nell'estremo nord del Giappone, in questo momento sono le quattro del pomeriggio, ci sono circa 5 gradi sotto zero e nevica leggermente.

Che è più o meno ciò che accadeva anche qui alla stessa ora. Ma i giapponesi conoscono un segreto che sono restii a rivelare.

Se loro si trovano con la loro Toyota parcheggiata all'aperto e circondata dalla neve, loro sanno come accendere la macchina, uscirne e, mentre si scalda, pulirne i vetri e sgomberare la strada.
Sono piccoli, gialli, gentili e con gli occhi a mandorla. E forse per questo vengono stereotipati e sottovalutati. Io, per esempio, pensavo nella mia sufficienza che se lo fanno loro, lo posso fare anch'io. Quindi apro la macchina, metto in moto, aria condizionata a palla per deumidificare e riscaldare, scendo, richiudo la portiera e inizio a spal... *clock*.

Clock??? Già, proprio clock: la chiusura centralizzata scatta. Penso che sia uno scherzo, mi pare di vedere le chiavi all'interno sogghignare divertite. Forse mi era già capitato una volta, non è grave, no? Un attimo dopo si erano riaperte. E non era neanche in moto. Provo le altre portiere. Bene, mi fa piacere che la chiusura centralizzata funzioni bene. Le chiavi all'interno della macchina non sembrano più curarsi di me, prese dallo spazio che hanno appena conquistato si trastullano nella musica della vittoria. Inizio a preoccuparmi. Noto e realizzo che a loro fianco, le chiavi di casa condividono il trono. Continuo a preoccuparmi. Ma non è niente... si sbloccherà. Intanto spaliamo.

Le chiavi non hanno gratitudine. In un attimo di lucidità in mezzo alla depressione ed allo sconforto che mi invadono, penso che almeno ne ho solo un paio che mi possano fare quegli scherzi: fortunatamente l'unica volta in un anno che ho provato a duplicarle, il mastro delle chiavi non aveva la forma giusta. Ma questo mi lascia con il problema della ribellione di quelle che già ho. Non ho chiuso la porta di casa (strano, della chiave di quella ho dato una copia ad amici e i proprietari della casa ne hanno almeno una terza; e nessuna di esse mi ha mai dato problemi). Il motore va. Il serbatoio della benzina è bello pieno. Be', oramai quasi pieno. È domenica. Siamo giovani, belli e abbiamo un presidente che è pure abbronzato. Considero seriamente quale vetro rompere per entrare. Il lunotto? no, ha le righine, chissà quanto costa il righello curvo per ridisegnarle. Il vetro del conducente? Magari quest'estate. Il parabrezza? avanti il prossimo!!! Lo stecchetto più piccolo è pescato da quello destro dei due piccoli vetri triangolari delle portiere posteriori, che non si può abbassare, lui. Come romperlo? con un blocco di ghiaccio? Devo protegermi la mano, in qualche modo, per non tagliarmi. In questo delirio una voce finora inascoltata e oramai roca mi dice che questa è la cazzata più grossa che abbia pensato in quest'anno. Dammi tempo, le rispondo. Va bene, rompi, dice lei, ma prima chiama i tuoi amici che magari hanno un'alternativa.

«Quando mi hai telefonato avevi una voce che ho pensato: qui è successo qualcosa di serio. Poi, quando mi hai risposto che non andava proprio bene...» (Maura, un'amica che aveva più volte consigliato di farsi delle copie delle chiavi)

«And while I was coming home from the afternoon mass, I saw a young man which in turn stood still, jumped or ran around a car, always shouting some rant like “cuts on” or the like. I slowly stepped away trying to stay unnoticed.» (a passer by, from the police record)

I quali mi fanno ritornare in me, mi dicono che una volta la polizia apriva le automobili della gente ma poi hanno smesso (mi chiedo perché, visto che nessuno poteva arrestarli), mi dicono di chiamare un locksmith e che anche se di domenica sarà un po' caro si può fare. Metto via il grimaldello.

Chiamo la polizia, perché tentar non nuoce. Arriva un uomo che mi fa firmare un Non-sono-stato-io™ preventivo ed estrae il penultimo ritrovato della tecnologia: un listello metallico flessibile largo un paio di centimetri e lungo mezzo metro, che ficca con perizia tra vetro e portiera tentando di far scattare la serratura. Basisco e m'inchino, ma la chiave all'interno organizza una contromossa e, con la complicità della chiusura centralizzata, blocca con un contro-ordine l'apertura delle portiere ogni qualvolta il poliziotto riesce ad innescarla. Alla fine è il tutore dell'ordine ad arrendersi ed è costretto a chiamare rinforzi. Dopo tre quarti d'ora arriva un collega con l'ultimo ritrovato della tecnologia: un tondino di metallo duro, diametro mezzo centimetro e lungo quasi un metro e due cunei di plastica gialla. Allarga la fessura della portiera con i cunei per infine violentarla con l'altro strumento e in pochi secondi raggiunge l'interruttore e lo fa scattare. L'incubo è finito, i buoni trionfano e la musica dell'autoradio ora suona per me; il poliziotto mi dice che è contento di essermi stato utile, che è il suo ultimo giorno prima della pensione e che gli spiace che abbia dovuto aspettare tanto, ma che non a tutti è dato in dotazione quello strumento. Vorrei rispondergli che è giusto non mettere nelle mani di chiunque una tecnologia così evoluta, ma mi trattengo.

Qualche minuto dopo, in casa, un tuono e un bagliore mi fanno stranamente pensare al mio eroe, che ora dormirà del sonno dei giusti.

Alla fine sono riuscito a raggiungere Chicago, a giocare per ore a Carcassonne e poi ad osservare per mezz'ora Mr. Guy firmare autografi a tre metri da me finché la folla è scemata e sono riusciuto finalmente ad acquistare un biglietto per uno dei suoi concerti di Gennaio. Anche se, come spesso accade, è la radio durante il ritorno a casa a procurarmi la musica del giorno. Convinto di conoscerne il pezzo che stanno trasmettendo, decido di aspettarne la fine per sentire la voce dell'annunciatore sciogliere il mistero. Arrivo a casa che sta finendo il secondo movimento. Suona come sinfonia, ma non è Beethoven, non è Brahms (anche se me lo ricorda...), ed io solo le loro sinfonie conosco, tranne misere eccezioni. Ad ogni modo, se è sinfonia ha quattro movimenti, se è concerto ne ha tre, siamo al secondo, male che vada ora che arrivo a casa è appena iniziato il terzo. Infatti spengo la macchina, entro in casa, accendo il PC (diffondono anche tramite Internet) e sento... un pezzo completamente diverso per pianoforte. Lo scorno si trasforma in trionfo quando realizzo che non può che essere stata l'ottava sinfonia di Schubert: l'“incompiuta”. Le vertigini delle sue ascensioni mi accompagneranno all'oblio di questa notte.

In queste tarde ore, mi sovviene un particolare... ma forse è la mia immaginazione a suggerirmi che sul manico del tondino di ferro del poliziotto fosse impressa una Questo è un marchio registrato. Il suo uso in questo blog, secondo Wikipedia, potrebbe essere illegale. .