lunedì 31 dicembre 2007

Trieste

Saluti meno strazianti ad Udine, poi via.

Oggi è il giorno di Trieste.
Così come so che Ferrara è bella, speravo che Udine lo fosse e sono sicuro che Trieste lo sarà.
Ma così come sono andato a Ferrara per me, per mia nonna e per la zia e ad Udine per me e per l'altra zia, sono a Trieste per me e per Claudia.

L'avvicinamento alla città dal treno è gratificante: la mattina tersa offre diversi scorci della città progressivamente più da vicino. Uscito da una stazione dagli interni insolitamente moderni ma sembra funzionali, la città mi mette subito a mio agio. Alcune facciate richiamano Torino, la gente sembra serena (starà pensando all'abbuffata?). I semafori per i pedoni, invece, hanno tempi insopportabili.

Arrivo alle 11 circa, i fiorai sono aperti e quasi tutti lavorano. C'è vita, c'è sole e non vento, le persone parlano con una cadenza veneta che trovo buffa e mi mette di buon umore. Ogni tanto penso alla figura che farò quando ella parlerà con quest'accento e le scoppierò a ridere in faccia. Molto magra invero, anche perché io stesso credo di avere un accento marcato non poco.


Tempo di B&B. Raggiungere il numero 31 di via Carducci (all'altezza di piazza Goldoni) è questione di una decina di minuti a piedi, ed è pure facile: chiunque sa dov'è la via, una delle più importanti, e basta imbroccare via Ghega per trovarla. Il pesante portone di ferro battuto apre sulla scala del palazzo. Al terzo piano, che si può raggiungere con l'ascensore, mi accoglie una signora. Mi mostra rapidamente ed efficacemente la mia stanza singola (ce ne sono altre doppie, che non ho visto) e mi indica i bagni a disposizione degli ospiti. Il marito mi spiega poi che domani non sa bene come verrà servita la colazione (infine, credo non sia stata servita del tutto, ma è chiaramente un caso eccezionale), e in risposta ad una mia domanda sulla foto di Piazza dell'Unità d'Italia su un calendario davanti al mio naso, mi accompagna attraverso un balcone ad una stanza e mi indica come raggiungerla; mi suggerisce anche di osservare la città da una delle balaustre della “scala dei giganti”. In tutto, si mostra amichevole anche se non espansivo (atteggiamento che io di natura non devo incoraggiare un gran che). L'impressione generale è che rispetto al B&B di Ferrara qui siano più “professionisti”: questo ricorda più una stanza d'albergo, quello più una stanza per gli ospiti.

La stanza è più grande di quella di Ferrara, ed ha una pianta ad L. È dotata di ampio guardaroba, attaccapanni, specchio e comodino. Ha anche una lampada con sveglia incorporata, ma quest'ultima ha la pila scarica. Ci sono prese elettriche, un cestino, un televisore con antenna manuale (il “baffo”) che ho rinunciato a sintonizzare dopo pochi minuti, una grande luce al neon che rimane leggermente luminescente anche al buio, una sedia e un grosso termosifone al più tiepido. Ci sono lenzuola e copricuscino puliti, coperta e piumone e mi vengono forniti due asciugamani sottili e poco assorbenti.

La camera ha un balconcino che si affaccia ad est sulla piazza Goldoni e che mostra la scala dei giganti e il monumento ai caduti che la sovrasta. Ci sono due livelli di porta-finestra, ma il più interno ha la chiusura difettosa e lascia una notevole fessura; fortunatamente quella esterna tiene bene. Alla sera ho avuto freddo, forse anche un po' sentito a causa del mio stato d'animo, ma certamente caldo non ne faceva. Quindi, freddo anche sotto le coperte? tutt'altro: ho dovuto liberarmi del copriletto e della canottiera per non sudare.

Durante la notte, le luci non sono un problema: la serranda chiude benissimo, la porta è dietro l'angolo della L, il televisore ha il tasto di spegnimento. Invece il rumore è ben presente, a prescindere da quello d'occasione dei festeggiamenti di fine anno. I rumori di piazza si sentono piuttosto bene, ma non c'è gran traffico. Si sente anche il rumore di chi va in bagno e più in generale di chi va. Infatti il pavimento in parquet di legno scricchiola e, sotto i tacchi, fa da cassa di risonanza; ciò vale per le aree comuni e le stanze, inclusa questa, bagni esclusi. A concludere, un rumore a volte gocciolio a volte scorrere di acqua. Chi è sensibile ai rumori avrà fastidio di tutto questo, mentre gli altri lo noteranno a mala pena. Il letto è un po' più rigido della media, cosa che a me ha fatto piacere.

Mi viene anche consegnato un trittico di chiavi: posso andare e venire come mi pare.

I bagni sono ampi e spogli, piuttosto puliti, dotati di doccia con attaccapanni limitrofo, di un portaasciugamani e di una mensolina. L'assenza di un tappetino fuori dalla doccia suggerisce di usare delle ciabatte.

La colazione è servita nominalmente tra le 8 e le 9: la tavola è apparecchiata con un paio di marmellate, burro e crema di cioccolato (per i maniaci, sì: quella crema) tutte monoporzione e due pagnottine di pane, mentre la bevanda calda è preparata sul momento (quindi c'è da aspettare qualche minuto). Non dubito che a richiesta si possa optare per richiedere più pane o più porzioni.


Ho girato la città per un paio d'ore, diversivo per l'attesa. Ho passato poi un paio d'ore con Claudia, che mi ha descritto ciò che avevo visto.

C'è uno spirito di patria che permea la città. A Torino ci sono intere zone con vie chiamate come città, fiumi o regioni, ma non c'è nessuna “via Torino”, “via Piemonte”... a Trieste c'è però un “Corso Italia”. Ci sono più monumenti ai caduti che alle icone cristiane, i quali tradiscono una storia di sofferenza o, da un altro punto di vista, di gloria. Dal mio, sofferenza.
L'impressione che ho avuto entrando nel parco sulla collina di San Giusto è stata molto intensa. In una... err... pineta? non ricordo che alberi fossero. Be', tra i tronchi di un alboreto rado e ben curato vi erano pietre; su alcune, scritte rosse erano visibili. Quando sono capitato accanto ad una, ho notato che la scritta era il nome di un caduto. Di lì ho notato che di queste pietre era cosparso tutto il terreno, che ognuna aveva una scritta, ognuna un caduto: migliaia di pietre, migliaia di scritte, migliaia di caduti mi hanno rammentato la vanità dell'uomo. Ho poi scoperto che il luogo è chiamato Parco della Rimembranza.

Trieste è anche una città particolarmente amichevole. Ci sono le fermate amiche. Probabilmente dei disabili, anche se non mi sembravano molto amichevoli. C'è Villa Amica, credo un centro di recupero per anziani. Ci sono le telecamere amiche, che si fanno in amicizia i fatti tuoi. È un trionfo del bispensiero.

Fortunatamente Claudia domina benissimo la cadenza locale. In compenso parla più rapida di quanto scriva, che già è notevole. Ogni tanto la scruto per trovare in lei Clo', ma fortunatamente non ci riesco. Mi spiace lasciarla: sono incontinentemente avido e al posto di pesare la fortuna di conoscere persone come lei, abbastanza improbabile, metto sulla bilancia il disappunto per le nostre strade così lontane.

Passerò qualche ora in uno stato di febbrile delirio e riflessione, in cui i pensieri sembrano affollarsi ma non sei neppure sicuro che non te li stia invece sognando. Come quando si sogna di sentire una barzelletta irresistibile, e ci si sveglia con la voglia di ridere e far ridere gli altri. Ma la barzelletta non prende forma, anzi pian piano evapora portandosi via l'allegria. In effetti, mi sento stanco e vuoto, ma non mi pare di aver dato così tanto. Magari ero vuoto già in partenza.

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