mercoledì 6 agosto 2008

Ferma! Ferma! Ferma! Un bufalo!!!

Buttato a mare il programma di sei giorni, ci si avventura oggi nella zona a nord-est, senza scordare poi di andare a montare la tenda che ci proteggerà durante le prossime tre notti.

A colazione ci facciamo anche preparare un panino come “pranzo al sacco”; non siamo i primi ad avere quest'esigenza, e qui negli Stati Uniti quando una cosa è chiesta da più di due persone diverse diventa un affare. Ed infatti ci viene offerta, ad un prezzo ragionevole, una borsa di carta marrone con dentro il panino che abbiamo chiesto, una pinta d'acqua (in bottiglia di plastica, non in bicchiere da birra!), delle patatine “guardaci: hai già sete”, dell'uvetta passita “arsura e siccità” e i biscotti secchi della nonna “coup de grâce”. Chiudono un tovagliolo di carta, un paio di posate di plastica e gli immancabili ketchup, senape e maionese in bustina monoporzione. Niente statuetta di plastica in questo happy meal.

E poi tutto in macchina e via verso la foresta pietrificata.
Gli incendi a Yellowstone sono abbastanza frequenti, alcuni così estesi che persino i bell'immezzibusti del nostro telegiornalismo ne straparlano. Gli alberi colpiti dal fuoco muoiono, ma i loro tronchi possono rimanere eretti e rosolati solo all'esterno o carbonizzare e «pietrificare».

Una foresta pietrificata è vagamente visibile nella collina in secondo piano.

Il caldo è estremo sotto il sole di mezzogiorno. I miei amici si lasciano andare a foto artistiche; io, che non ne ho i numeri (lo dimostra la fotografia di cui sopra alla foresta pietrificata, che verrà pubblicata presto in uno speciale di «Dov'è Wally»), lascio la macchina fotografica in automobile.

Tornati sulla strada principale, attraversiamo distese di prati bagnati dal fiume Yellowstone e incrociamo mandrie di cervi (o wapiti?), bufali, stormi di oche natanti, un coyote solitario (li adoro sempre di più), umani a raffica.

Un'ultima capatina a nord ci porta finalmente all'inizio della Lamar Valley, entro la quale non ci avventuriamo per mancanza di tempo. Ci fermiamo alle prime cascate che il fiume Yellowstone crea in questa valle, e discendiamo fino al livello del fiume a valle a goderne il fluire.

Il fiume Yellowstone riprende a scorrere con brio dopo un'imponente cascata che non ho fotografato.

Il campeggio è in un posto stupendo, la zona dove siamo ci lascia a disposizione parcheggio, piazzola, focolare (si decide a prima vista una serata con falò e marshmallow) ed un tavolo, e siamo circondati dagli alberi... e da una cassetta per il cibo.
Come tutti sappiamo, gli orsi (soprattutto quelli più intelligenti della media degli orsi) apprezzano i cestini da pic-nic e più in generale il cibo incustodito; la qual cosa non è amata dai ranger che vorrebbero gli orsi autosufficienti e indipendenti dagli uomini. Così per vanificare i loro sensi particolarmente fini i turisti devono riporre il cibo che non stanno per consumare in queste casse metalliche. L'orso fiuterà lo stesso, ma oramai sa che non riesce ad aprirle e quindi manco ci prova. E per ripicca divora i campeggiatori che trova nelle vicinanze. Così l'orso è indipendente, si procaccia il cibo da solo e anche i ranger sono più sereni.
Il problema del campeggio sono i servizi. Nella fattispecie, igienici: due cessi, un orinatoio, due lavandini e zero docce per i maschi, per le femmine magari domani vado a controllare. E poi una fontana.

Invece il problema del posto in generale è che fa un freddo deciso e c'è un'umidità veramente fastidiosa. Il problema non è risolto con i sacchi a pelo nominalmente testati da 20°F in su (e ci dovrebbero essere circa 40°F), né con la presenza di quattro persone negli stessi pochi metri cubi. Ma potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere.

Nessun orso, oggi.
Né lupi.
Né alci.

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